sabato 7 settembre 2013

PIERO TOSI l’Uomo che vestì il Cinema


L’Academy of Motion Picture Arts and Science, l’associazione che ogni anno decide a chi assegnare i Premi Oscar, ha annunciato che nel 2014 la statuetta alla carriera andrà a Piero Tosi, decano della grande scuola di costumisti e scenografi italiani. Difficile riassumere una carriera tanto lunga e brillante in poche parole, ma basta ricordare le sue collaborazioni con registi come Luchino Visconti, Franco Zeffirelli, Liliana Cavani, Mauro Bolognini, Luigi Comencini, Vittorio De Sica, Alberto Lattuada, Pier Paolo Pasolini, Mario Soldati e Federico Fellini per capolavori indimenticati come Bellissima (1951), Senso (1954), Il bell’Antonio (1960), Rocco e i Suoi Fratelli (1960), Il Gattopardo (1963), Ieri oggi e domani (1963), Tre passi nel delirio (1968), La caduta degli dei (1969), Medea (1969), Morte a Venezia (1971), Ludwig (1972), Malizia (1973), Il Portiere di Notte (1974), Il malato immaginario (1979), La Traviata (1983), Il vizietto (1980) e Storia di una capinera (1993) solo per citarne alcuni.

Nato a Sesto Fiorentino nel 1927, appassionatosi al cinema fin da bambino ammirando i visi delle dive sulle copertine delle riviste, Tosi si iscrive all’Accademia di Belle Arti, dove si specializza come costumista e scenografo, e formandosi sotto la guida di Ottone Rosai.


Grazie all’amicizia di Franco Zeffirelli, assistente di Luchino Visconti, si avvicina al grande regista milanese al quale rimarrà legato per tutta la carriera diventandone costumista di fiducia. Il debutto avviene con Bellissima (1951) vestendo di semplici abiti una sempre splendida Anna Magnani. Ricorda Tosi a proposito della sua prima collaborazione con Visconti: “Mi vietò categoricamente di entrare in sartoria imponendomi di acquistare gli abiti di scena dalla gente che vedevo passare per strada! Quando dicevo alle signore che l’abito che indossavano serviva per un film con la Magnani me lo donavano per pochi soldi onoratissime. Mi ricordo la Magnani davanti allo specchio, provava il costume con le mani sulla pancia e diceva Qui mi ci vorrebbe una parannanza. Perché lei era così… parlava come se il suo fosse sempre un ragionamento interiore, a voce alta".


Per Senso (1954) crea fastosi guardaroba per la splendida Alida Valli, curando anche la riproduzione fedele di centinaia di divise austriache e piemontesi per le scene di battaglia. Se nel 1960 per Rocco e i suoi fratelli (1960) abbandona i rigori storici per vestire la famiglia Parondi con canottiere sudate e sdruciti abiti “rivoltati”, nel 1963 torna al costume d’epoca per regalare al cinema italiano il suo capolavoro, Il Gattopardo, che gli vale la nomination all’Oscar (scippatogli da Irene Sharaff e Vittorio Nino Novarese con  Cleopatra).



 Sotto la guida maniacale di Visconti fascia una splendida Claudia Cardinale nel celebre abito bianco che passerà alla storia come canone d’eleganza facendo impazzire migliaia di ragazze che vorranno un modello simile per il loro abito da sposa. Ricorda la Cardinale: “Visconti e Tosi vollero che sotto l’abito vestissi un corpetto originale dell’epoca, confezionato per una ragazza con 50 cm di giro vita. Durante le riprese del ballo soffrii le pene dell’Inferno e, anche se non osai dire nulla, quando mi levai quel busto avevo i fianchi lividi, con due ferite aperte dalle stecche di balena che avevano passato la fodera tagliandomi la pelle!”.

Dalle crinoline ottocentesche de Il Gattopardo agli elegantissimi abiti disegnati per Morte a Venezia (1971), dove Tosi trasforma Silvana Mangano in una dea dell’eleganza inizio secolo, riuscendo perfino a far commuovere Visconti che in essa, così abbigliata, rivede l’elegantissima madre. Ma va ricordato, come ebbe a dire lo stesso Tosi, che “A Silvana metti addosso una cosa qualsiasi e diventava un giglio!”.


L’altra nomination all’Oscar arriva nel 1972 per i costumi di Ludwig, lo smisurato affresco biografico che Visconti dedica alla vita del folle re di Baviera costruttore di castelli da fiaba: uno sforzo produttivo che manda in bancarotta due produttori e finisce nelle sale mutilato a causa delle pretese dei distributori e della malattia improvvisa del regista che impedì di portare a termine il montaggio. La collaborazione con l’amico Luchino termina nel 1976 con il fin troppo sontuoso L’innocente.


Diversissimo il lavoro con un regista lontano da Visconti come Pier Paolo Pasolini, per il quale disegna i costumi per Medea: al contrario di quanto faceva Visconti, che torturava Tosi con ogni sorta di raccomandazione e suggerimento, Pasolini lasciava il costumista libero di creare dandogli come unica direttiva quella di attenersi alla tradizione popolare dimenticando ogni accademismo. Saranno le assicurazioni della grande amica Maria Callas a convincere Tosi a non abbandonare il set!
Con Federico Fellini Tosi matura una grande amicizia personale che, tuttavia, non si traduce in sodalizio artistico: dopo aver curato le scenografie per Tre passi nel delirio (1968), viene chiamato da Fellini per realizzare i costumi del Casanova ma, dopo qualche incomprensione, i due preferirono rinunciare al progetto di lavorare insieme.
Ma guai a considerare Tosi un costumista oleografico, legato all’eccesso e al fasto perseguito a tutti i costi, come ben dimostra l’idea geniale di far indossare a Charlotte Rampling solo due bretelle sul seno nudo in Portiere di Notte di Liliana Cavani (1974).



Insomma, è davvero difficile parlare dell’Arte di un Genio come Piero Tosi, che riusciva a rendere vivo un attore facendogli indossare una canottiera sudata o un frak. Ha vestito il Cinema (sì quello con la C maiuscola) con il gusto di chi ha la dote naturale di tendere al bello assoluto. E ora il cinema (sì quello con la c minuscola) lo ringrazia. Con un po’ di ritardo.

Enrico Ercole




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